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Cuzari (Sirmi), come sta cambiando l'Information Technology

In questa intervista a tutto campo Maurizio Cuzari (AD Sirmi) esprime il pensiero schietto di un attento osservatore di mercato disincantato e seriamente preoccupato dello stato di salute in cui versa il sistema Ict italiano, troppo baricentrato sul rispetto delle dinamiche imposte dalle multinazionali e poco attento alle reali necessità dei fruitori.

Tecnologie & Trend
A pochissimi giorni dall'apertura dell'11esima edizione di Ict Trade che si terrà come di consueto a Ferrara il prossimo 8-9 maggio, Maurizio Cuzari, Amministratore Delegato di Sirmi, esprime il suo pensiero sulla situazione italiana dell'information technology e del canale distributivo.
E' una chiacchierata a tutto campo. Nessuna polemica fine a sé stessa né una forma di esibizionismo; ciò che esprime Cuzari è il pensiero schietto di un attento osservatore di mercato disincantato e seriamente preoccupato dello stato di salute in cui versa il sistema Ict italiano, troppo baricentrato sul rispetto delle dinamiche imposte dalle multinazionali e poco attento alle reali necessità dei fruitori.

Partiamo dalle parole con cui hai chiuso il tuo discorso alla scorsa edizione di Ict Trade a Ferrara: "Stiamo passando dalla fase artigianale dell'IT a quella industriale... Oggi quindi siamo in quella fase?
cuzari-sirmi-come-sta-cambiando-l-information-tech-1.jpgIn realtà non è proprio così. Lo scorso anno esprimevo il concetto che l'IT stava uscendo da un cinquantennio di IT artigianale per entrare in un cinquantennio di IT industriale. Nel primo cinquantennio non esisteva un sistema informativo uguale a un altro e quindi la perizia e l'inventiva dell'artigiano metteva nella condizione di costruire sistemi informativi tagliati sull'esigenza delle singole aziende. In questo disegno gli artigiani erano portati in palmo di mano perché erano gli unici soggetti, per quanto tanti potessero essere, capaci di fare funzionare una disciplina così complessa come l'IT. Sulla base della spinta del cloud computing, dei software applicativi che si spostano sempre più verso la parametrizzazione e richiedono sempre meno personalizzazione e del protocollo IP che applicato alle applicazioni permette la diffusione dell'informazione in modo diffusivo... ho cominciato a teorizzare il fatto che l'IT stesse diventando industriale, cioè fatta come si suol dire "con lo stampino", con le singole componenti che poi possono essere facilmente personalizzate. È la stessa logica dell'industria automobilistica, per intendersi. Dove è la cantonata che sto prendendo? Oggi il livello di attenzione dei clienti e dei consumatori non è verso l'oggetto industriale Information Technology ma verso l'oggetto servizio abilitato dall'IT. Quindi al di là del fatto che si stanno industrializzando alcune componenti l'IT sta saltando a piè pari la componente industriale e sta entrando nell'era post-industriale senza passare dal processo di industrializzazione.

E come si caratterizza l'IT post-industriale?
È un'IT che diventa "Industria dei servizi", in cui il servizio è il risultato dell'applicazione, è la fruzione dell'informazione, è l'utilizzo della potenza di calcolo, a prescindere da chi realizza l'applicazione, fornisce l'informazione e gestisce la potenza di calcolo e da quali siano le infrastrutture che permettono di erogare la potenza di calcolo. E tutto ciò va a incidere in modo pesante sul tipo di competenze necessarie per fare funzionare l'Ict in senso lato, perché incide molto di più sulla capacità, competenza e perizia di conoscere, interpretare, abilitare e ottimizzare i processi più che sulla perizia di fare funzionare l'infrastruttura. Il che non vuol dire che non ci sia bisogno di specialisti che facciano funzionare l'infrastruttura, ma non è quello l'elemento chiave di chi utilizza l'IT. Un'IT post industriale che scardina le filiere dei manufatturieri - i produttori hw o sw -, modifica in modo pesante le catene del valore perché la compressione dei margini diventa diffusiva e la 'commoditizzazione' di alcuni prodotti anche di valore diventa imbarazzante, spiazza in modo pesante chi ha vissuto per anni di manutenzione applicativa, evidenzia la carenza di perizia nella gestione dei processi. È questa la fotografia generale in cui è normale che la spesa possa non crescere. È una transizione che non porta maggiore ricchezza ai produttori sempre più compressi dal dover trovare marginalità da altre fonti rispetto a quelle tradizionali. Ma se utilizzata in maniera intelligente però può portare maggiore ricchezza al sistema imprese e al Sistema Paese, non necessariamente facendo vivere bene gli attori di questo comparto, compressi da questo mutamento strutturale di comportamento di clienti e consumatori.

Insomma un'IT in profonda trasformazione?
Sì, decisamente in forte trasformazione. E in questo momento in cui si sta parlando in modo intenso, anche un con un leggero ritardo, di Agenda Digitale non ho la sensazione che tutto ciò sia in linea con la crescita possibile del sistema Paese. Ho la sensazione che le Agende Digitali siano più in linea con il recupero di marginalità dei grandi player internazionali. Mi riferisco ad aziende che fruiscono a pieno titolo dei processi di globalizzazione e che quindi fanno un sacco di soldi fatturando dall'estero, mantenendo in Italia soltanto strutture commerciali o di servizio; in teoria abilitano il sistema Italia a funzionare meglio, in realtà, in una certa misura, lo impoveriscono. Sono aziende che prendono dal Sistema Italia senza lasciare qualcosa al Sistema Italia. E'una storia spinosa, ma sotto gli occhi di tutti.

Ti riporto all'IT come concepita nell'era artigianale. Sulla base dei consuntivo 2011 quali sono stati i principali elementi caratterizzanti l'anno e quali i fenomeni emergenti?
Il 2011 è stato un anno di grandissima pressione; non poteva essere diversamente visto come è andato il sistema economico italiano nella sua globalità e non ci si poteva aspettare risultati in crescita visto che non c'erano ragioni oggettive. Più che su alcune tipologie o comparti di prodotto o servizio vorrei puntare l'attenzione sul fatto che ci sono state e ci sono aziende di eccellenza che sono riuscite e riescono a crescere e ad essere profittevoli, anche in un momento complesso. Sono realtà che, nonostante il decremento dei 3-4 punti percenutali dell'intero comparto, per non parlare del 10% della componente hardware, sono riuscite a fare il loro mestiere con grande soddisfazione dei clienti e facendo profitto. Il differenziale in queste situazioni non viene tanto da come cresce complessivamente o decrementa il mercato ma da quali sono le condizioni di eccellenza o perizia che mettono nelle condizioni l'imprenditore/il manager di essere un imprenditore/manager di successo. Sono realtà in cui si riesce a trovare un 'mood' positivo, una visione di medio-lungo periodo fatta da passi quotidiani nei processi di miglioramento, una forte attenzione al non lasciarsi andare a derive o a fatturare a tutti i costi al prezzo imposto dal cliente o dal mercato. Realtà in cui si crea un ambiente positivo in cui la gente che lavora e i clienti tendono a essere efficaci sul mercato. In questi contesti un altro elemento differenziante è sicuramente quello di investire in formazione, in competenze e certificazioni.

È evidente che c'è molta sofferenza in questo mercato...
Certo. Secondo fonte Unioncamere in Italia ci sono 75 mila operatori nell'Ict. Circa 10 mila sono società di capitali, gli altri 65 mila sono società di persone o addirittura società con zero dipendenti. Il che vuol dire che il sistema di offerta dell'Information & Communication Technology ha una bassa concentrazione in termini di ragioni sociali, una concentrazione ragionevolmente modesta in termini di distribuzione dei ricavi e del fatturato e una quantità di soggetti che fanno economia di professione ma non fanno economia di impresa. Inoltre, gli investimenti sono scarsi, le imprese che investono in competenze sono poche, quelle che sanno equilibrare investimenti in competenza e investimenti in marketing di modo che la loro competenza possa essere replicata sul mercato sono ancora meno. Se a ciò si aggiunge il fatto che il sistema del trade dell'Ict sta cominciando a diventare un sistema che invecchia progressivamente perché i giovani imprenditori si trovano davanti a una quantità spaventosa di complicazioni di carattere burocratico, finanziario, amministativo, legate al costo del lavoro molto elevato, ... ci si rende conto perché tutto il nostro sistema stia diventando un sistema basato sulla ricerca della svolta. È un sistema poco basato sulla ricerca di fondamentali per la riscostruzione di un modello fondamentalmente equilibrato. Ti faccio un altro esempio. Il Sistema Italia investe poco in ricerca & sviluppo e quel poco che investe non dà luogo a soluzioni portabili sul mercato. Il problema della Ricerca & Sviluppo, soprattutto pubblica, non è la carenza di fondi ma la carenza di obiettivi. Guarda al triangolo ricerca, università e impresa. L'università fa ricerca soprattutto con i fondi europei in parte con quattrini delle aziende italiane; l'obiettivo delle università è di autoreferenziarsi al fine di portare a casa quattrini per gestire la propria sopravvivenza; la ricaduta nei confronti delle imprese deriva più dal buonismo dei professori che fanno anche i consulenti che aiutano le imprese che li finanziano in modo implicito più di quanto non derivi dal fatto che il risultato della ricerca dia luogo a un'operazione commerciale di successo. E il sistema Ict non riesce ad avere delle correlazioni realmente forti con il sistema dell'Università.

Anche nel 2011 e 2012 tra i fattori innovativi del mercato poni i device mobili e il cloud computing?
Il device mobile è sicuramente un elemento innovativo nel cambiamento di atteggiamento della persona nei confronti della tecnologia. Chi utilizza un tablet e torna sul pc si rende conto che il pc è lento e complicato; allo stesso tempo si rende anche conto che se deve accedere all'informazione il tablet è il dispositivo senza ombra di dubbio più adatto; se però l'informazione la si deve produrre, elaborare, interpretare, correlare si ha ancora bisogno di uno strumento di calcolo. Di fatto, il device mobile è l'elemento sostitutivo il pc nell'accesso alle informazioni non sostitutivo nella produzione di informazioni originali. Il fatto che poi il tablet così come il pc, punti a un server o a uno storage locale, centrale, delocalizzato, 'cloudizzato', diventa un fatto complementare. Secondo alcune correnti di pensiero il tablet è ancora costoso; secondo me è una falsa pista come oggetto di ragionamento. Il tema vero del tablet è l'immediatezza della fruizione che genera una maggiore attenzione verso il dispositivo in questione rispetto ad altre soluzioni. Per inciso: a vendere i tablet si guadagna. Se si vendono le scatole di tablet si portano a casa pochi quattrini così come se si completa la propria marginalità con la vendita di accessori non si genera differenza in termini di vantaggio competitivo. Se però alle imprese si mostra che l'elemento chiave del proprio vantaggio competitivo è la capacità di gestione di un device mobile - il mobile device management - per cui al tablet si assicura la funzionalità, la sostituitibilità, la supervisione da remoto, ... questi fattori cominciano a fare la differenza... E il tablet è strettamente correlato al cloud computing. Il cloud computing è una delle poche aree che sta crescendo; il fatto che cresca del 15% in un mercato che decresce di circa il 4%, fa capire quanto sia un elemento chiave. Andare verso il cloud significa focalizzare l'attenzione sul concetto di servizio, porre attenzione sul risultato dell'uso delle infrastrutture e non sulla problematica correlata alla gestione delle infrastrutture. È evidente che lo Iaas (Infrastructure as a Service) oggi corra più veloce del resto, perché incidere sulle infrastrutture permette di fare un calcolo molto veloce di qual è il vantaggio economico confrontato con gli eventuali rischi possibili. Per andare in modo deciso verso il Saas (Software as a service) bisogna avere altre condizioni a contorno: la certezza degli Sla, il fatto che la licenza possa essere riferita a soluzioni 'multitenant' così come la possibilità di correlare le proprie personalizzazioni e verticalizzazioni a un 'engine' che non deve essere 'impacchettato' tra componente kernel e personalizzazione ma possa a essere a livelli diversi. È in atto anche un processo di maturazione del mondo del software che abiliterà in prospettiva sempre più a i servizi Saas. Oggi una granparte di servizi Saas che vanno per la maggiore fanno riferimento ad applicazioni non core, ma in prospettiva si andrà verso applicazioni core, in una logica di migliore fruizione della piattaforma e non in quella di risparmio economico.

L'abbinamento tra IT e Tlc rappresenta sempre uno snodo fondamentale?
Sicuramente. In modo semplicistico io vedo l'Ict come un sistema a tre strati: lo strato più tangibile è quello dei device; quello intermedio è rappresentato dalle reti; lo strato più basso è quello delle infrastrutture centralizzate (i data center) che comprende anche le applicazioni core. Dal punto di vista tecnologico questi tre strati sono sostanzialmente spacchettati, prova ne sia che i grandi player del device non sono necessariamente i grandi player dell'infrastruttura del data center. Per esempio Ibm si è sganciata dal mondo dei device ed Apple non è mai entrata nel mondo del data center. Questo a mio avviso è un'evidente dimostrazione del fatto che questi tre livelli, che devono essere fortemente correlati, si muovono all'insegna dell'autonomia ma non dell'indipendenza. La componente a fattore comune deve essere ovviamente quella della standardizzazione. Il dato o l'informazione deve essere generabile e trasferibile su ciascuno dei tre livelli. Il telco che presidia la rete di comunicazione che abbia la capacità di evolvere le sue infrastrutture centralizzate in un'ottica data center e che riesca ad abilitare una rete di relezioni con il cliente finale e si muove anche all'insegna della commercializzazione del device può avere un vantaggio competitivo importante. E da questo l'importanza strategica per esempio dell'accordo siglato di recente tra Telecom Italia e Microsoft ma anche l'importanza che stanno assumendo altri fornitori di Tlc che si sono spostati pesantemente verso la gestione dei data center. Gli attori dell'Ict del futuro compreranno server, storage, middleware, sistemi operativi, ... li faranno funzionare in maniera efficace e produrranno potenza di calcolo, capacità di archiviazione e di erogazione di informazione.

In questo quadro così delinato come cambia il ruolo della distribuzione? Quali le opportunità per il canale in questo momento di forte trasformazione?
Fermo restando che anche per il cloud non si tratta di una rivoluzione, né di un fenomeno che succede dalla sera alla mattina, per cui ci saranno delle fasi di transizione ragionevolmente lunghe, caratterizzate da una modifica della struttura dei margini non distruttiva in termini immediati, credo che il mondo della distribuzione possa trarre grandi vantaggi dai processi di 'cluodizzazione' dei sistemi informativi. Un sistema informativo che si orienta verso il cloud richiede infatti infrastrutture di tipo diverso così come componenti software diverse, a cui il mondo della distribuzione può rispondere. Penso che da tutto ciò possa trarre vantaggio quel tipo di distributore che ha la capaicità non solo di muovere le scatole ma anche quella di influenzare le scelte dei propri partner, in modo che questi possano essere più erfficaci nei confronti del mercato. Oggi il grande rischio lo corrono i box mover, sempre meno presenti in Italia; il distributore a valore se raggiunge livelli di eccellenza - aspetto non facile perché non è più sostenibile il fatto di essere sussidiati dai vendor occorre fare investimenti imprenditoriali - può veramente fare la differenza in questo scenario.

La virata di alcuni distributori a volume verso il valore rientra in questo scenario?
In parte, anche se noto una grande fatica da parte del distributore broadline ad abbracciare il valore. Il concetto di valore non significa vendere a volume prodotti di valore, significa trasferire valore... è un mestiere irragionevolmente complicato, bisogna esserne capaci. Il distributore è un soggetto abituato a fare gli investimenti con i soldi del vendor e questo fenomeno oggi non sta più in piedi. Nel momento in cui il vendor si rende conto che la sua priorità non è quella di fare crescere il distributore ma di fare crescere il livello di attrattiva del mercato verso la propria offerta, e nel momento in cui si rende conto che la marginalità è sempre più difficile da misurare sulla base trimestrale, il vendor tira i remi in barca in termini di sostegno al sistema globale e impoverisce progressivamente il sistema. In sostanza significa fare pochi investimenti solo tattici e non costruire uno scenario accattivante affinché il sistema della domanda possa trarre vantaggio dall'investire in Ict.

Così facendo mi pare che sia un mercato destinato a collassare e perdere elementi per strada?
È un mercato in cui gli attori dell'offerta saranno sempre più rappresentati da uffici commerciali che non faranno la differenza nei processi di scelta e da pochi attori che saranno capaci di interpretare il sistema Italia come un sistema a forte potenziale. Il fatto che l'Italia sia in ritardo nell'Ict paradossalmente potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo perché se si trovasse il 'trigger' (condizione scatenante, ndr) in base al quale le imprese si rimettono a investire in IT, chi riesce effettivamente a offrire valore sull'Ict si trova di fronte a un mercato in formazione molto interessante. Bisogna però essere capaci di farlo. Sul fronte canale ci sarà tendenzialmente spazio per tanti ... quelli bravi però sono pochi. Questo non vuol dire che è un sistema tutto da buttare via; bisognerebbe avere la certosina pazienza di correggerne le storture... E con il cloud il canale non perde importanza, come molti dicono; cambia totalmente il tipo di importanza. Se, infatti, le tecnologie abilitanti il cloud computing si semplificano e funzionano veramente come promettono, nel prossimo futuro si potrà assistere alla nascita dei cloud service provider di quartiere. È ovvio che non si faranno più i soldi facendo le cose che si facevano prima... che non equivale a dire che è una situazione disastrosa su tutti i fronti. Siamo in un processo di trasformazione che deve essere interpretato. E l'interpretazione da sola non basta, ci vogliono gli investimenti, la cui carenza oggi è uno dei problemi più grossi nel nostro Paese.

Veniamo ora a Ict Trade... come si caratterizzerà quest'anno rispetto alle edizione passate?
Al momento ci stiamo concentrando su due aspetti principali. In primis, vogliamo dare meno spazio alla liturgia e un po' più spazio a soggetti che reputiamo possano essere innovatori. Vogliamo dimostrare che esistono imprenditori italiani che fanno mestieri tradizionali ma che li gesticono con processi innovativi che funzionano. Abbiamo inviato a parlare al convegno di apertura alcuni giovani; l'Ict non può essere solo fatta dai soliti noti. C'è una quantità di signori che stanno dimostrando seria professionalità. A mio avviso il fatto di dare spazio a questi soggetti permette di dimostrare implicitamente che ci sono cose nuove e diverse che possono essere fatte. L'obiettivo è quello di dare valore alle eccellenze e non quello di dare valore alle presenze tradizionali. Ci saranno anche queste ultime, ma quelle che comunque si distinguono per innovazione ed eccellenza. L'altro aspetto su cui ci focalizzeremo è quello di provare a pensare tutti insieme all'Agenda Digitale. L'Agenda Digitale è infatti una bellissima iniziativa che corre il rischio di non dare risultati concreti. Per una ragione molto semplice: si stanno ascoltando poco i fruitori del processo Agenda Digitale, come, per esempio i rappresentanti delle Associazioni utenti. Per questo a Ict Trade vogliamo dare spazio alle Associazioni Utenti e non a quelle dei fornitori con l'obiettivo di capire quali siano i reali vantaggi che loro potrrebbero trarre dall'Agenda Digitale. A loro chiederemo se è il broadband diffusivo così come gli altri temi dell'Agenda sono veramente quelli che potranno fare la differenza oppure occorre prenderne in considerazione altri ...Nessuna polemica, solo il tentativo di capire se manca qualcosa all'Agenda Digitale o ci vuole una marcia in più. Marcia in più e diversa nella direzione di maggior attenzione verso chi le cose le deve fare e un po' meno nei confronti di chi le cose le deve vendere...

Vorrei che chiudessi con un ultimo messaggio, che faccia da filo conduttore della chiaccherata...
Non c'è dubbio che siamo in tempi di vacche magre e quindi le difficoltà economiche e finanziarie sono reali per tutti. In momenti di difficoltà come questo però si evidenzia in tutta la sua concretezza che il sistema dell'Ict non è capace di fare squadra. A Ict Trade avremo un numero inferiore di sponsor rispetto al passato. La ragione è molto semplice: i budget sono in mano alle multinazionali, che misurano il valore di un'iniziativa sulla base di quante trattative si portano a casa attraverso un'iniziativa. Questo non è il mestiere di Ict Trade. Ridurre il sistema di offerta dell'Ict a ostaggio dei lead generator non mi sembra un fatto corretto. Penso che ci sia il momento giusto per la lead generation e un momento per la costruzione di un 'mood' globale. Fino a quando il top management delle organizzazioni italiane aveva un approccio imprenditoriale e non solo deleghe poneva attenzione al "fare". Oggi la vena imprenditoriale dei nostri manager è scomparsa; sono sempre più gestori di processi obbligati e imposti da qualche altra parte... Sembra che conti di più fare il budget del trimestre che modificare il Sistema Italia. Non dobbiamo combattere questi modi di agire, ma neanche sottostare a queste regole. Non dobbiamo essere loro ostaggi. Ci vuole un po' di presa di coscienza. Dobbiamo trovare la condizione corretta affinché questo avvenga per norma.
(E' possibile leggere la versione dell'intervista in PDF sul numero di aprile di ChannelCity Magazine).
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