Smart working? Indietro tutta

Se in Italia nel periodo pandemico 2020-2021 risultavano in smart working oltre 7 milioni di lavoratori, in questo primo scorcio del 2023 la cifra si è molto ridimensionata e attualmente riguarda poco meno di 3 milioni. Non è però un trend solamente italiano.

Autore: Francesco Merli

Lo sviluppo repentino dello smart working avvenuto durante la pandemia Covid-19 ci aveva fatto intravedere un nuovo modo di lavorare, immaginare innovative organizzazioni aziendali con lo smart working in prima fila. In questo contesto avevamo ipotizzato che i Top Manager delle aziende, dopo che per decenni si era assistito a milioni di persone incollate alla scrivania, cinque giorni su sette, otto ore se non di più, avessero compreso la nuova opportunità, i vantaggi che avrebbero avuto le imprese e anche i lavoratori.

Oggi, invece, tutto questo sta naufragando davanti a un repentino dietro front. Non lo afferma il sottoscritto, ma lo mette nero su bianco l’Inapp (l’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche), il quale sottolinea che se in Italia nel periodo pandemico 2020-2021 risultavano in modalità smart working oltre 7 milioni di lavoratori, in questo primo scorcio del 2023 la cifra si è molto ridimensionata e attualmente riguarda poco meno di 3 milioni di lavoratori. Due i principali ostacoli che non hanno permesso di far decollare compiutamente questa nuova modalità di lavoro: la prima, la più importante, è la riorganizzazione del lavoro per obiettivi, con un adeguamento dei salari e benefit che mantenga il corretto equilibrio tra chi lavora da remoto e chi lavora in presenza. La seconda è che né la pubblica amministrazione, né il tessuto delle medie e piccole imprese (escluso qualche grande azienda) si è mai posto veramente come obiettivo la possibilità di riorganizzare il lavoro mettendo a pari dignità il lavoro in sede e il lavoro in remoto. Un esempio? La pubblica amministrazione italiana ha affrontato la questione prendendo atto delle difficoltà e rinviando per il momento la riorganizzazione per obiettivi. Di fatto è stato avviato un surrogato che proprio non assomiglia al concetto puro di smart working ovvero è stata offerta ai lavoratori una forma di telelavoro che però ricalca l’organizzazione e gli orari degli uffici pubblici.


E che dire delle aziende private? Complice l’incapacità di immaginarsi un doppio binario lavorativo, ma anche non supportate adeguatamente dalla legislazione italiana, le realtà medio piccole hanno gettato quasi subito la spugna. In realtà anche le grandi non hanno saputo realizzare un processo organizzativo serio dello smart working, optando per soluzioni “ibride” che prevedono uno-due giorni di lavoro in questa modalità, il resto in presenza. Interessante è l’analisi fatta dal presidente dell’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche il quale afferma come si siano vanificate le potenzialità dello smart working soprattutto a causa della incapacità dei manager aziendali di introdurre radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro.
Questo trend non è però solo italiano, basta vedere cosa succede oltreoceano, negli Stati Uniti, per esempio. Negli USA è cominciato l’addio allo smart working dopo tre anni di rivoluzione che pareva aver cambiato per sempre il sistema americano. Infatti, secondo i dati del Bureau of Labor Statistics, il Centro di raccolta dati del dipartimento Lavoro, se nel gennaio 2019 lavorava da casa solamente il 4,7 per cento degli occupati e a maggio 2020, quando la pandemia da Covid era diventata un’emergenza nazionale, questa percentuale era salita al 61 per cento, oggi si assiste a una rapidissima discesa degli smart workers (negli USA si stima che solamente nel 2022 ben 21 milioni di lavoratori sono tornati a lavorare in sede) mentre si assiste sempre più a contratti per nuovi assunti, e non solo, basati su benefit che includono il rimborso delle spese d’affitto, i costi di trasporto, per convincere i dipendenti a tornare dietro la scrivania.

E come evidenzia anche il WSJ in un recente articolo, i tassi di rientro in ufficio in città come Parigi, Stoccolma, Seoul e Tokyo sono saliti a oltre il 75 percento. Di fatto si sta assistendo a un fenomeno di rientro planetario.


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