Italia, le medie imprese crescono e guardano al futuro con ottimismo

Uno studio di Mediobanca e Unioncamere fa luce sulla competitività di 3212 medie imprese manifatturiere italiane che assicurano il 16% del valore aggiunto dell’industria manifatturiera ed il 17% delle esportazioni nazionali.

Autore: Redazione ChannelCity

Crescono a ritmo accelerato rispetto alla manifattura, attirano sempre più investitori esteri ma la loro tassazione resta punitiva: questi alcuni degli elementi che emergono dall’Indagine annuale sulle Medie Imprese industriali italiane, realizzata da Mediobanca e Unioncamere. Indagine che fa luce sulla ripresa e sulla competitività di 3212 medie imprese manifatturiere italiane che assicurano il 16% circa del valore aggiunto dell’industria manifatturiera ed il 17% delle esportazioni nazionali.
Il Veneto si distingue per la maggiore densità di medie imprese, seguito da Lombardia ed Emilia-Romagna. Il Piemonte figura in posizione relativamente arretrata preceduto, nell’ordine, dal Trentino-Alto Adige, dalle Marche, dal Friuli Venezia Giulia e dall’Umbria. 
Le medie imprese hanno chiuso il decennio 2004-2013 con una crescita del fatturato pari al 35,3%, più del doppio rispetto alla manifattura. A seguito della grave flessione del 2009, nel periodo 2009-2013 le medie imprese hanno messo a segno una crescita del 20,7%, ancora all’incirca doppia rispetto a quella della manifattura (+12,2%). Risultati possibili grazie anche alla forte espansione delle vendite all’estero dove le medie imprese hanno realizzato nel decennio una progressione del 64,4% contro il 44% della manifattura.  
Cresce anche la base occupazionale e quindi del benessere: +9,2% dal 2004, quando la manifattura ha dovuto invece ridurre gli organici del 5,5%. Non solo: il costo medio del lavoro delle medie imprese è cresciuto del 26,4%, meglio di quanto ha saputo garantire la manifattura (+23,9%); tale variazione esprime le migliori competenze dei lavoratori.
La crisi però ha generato una selezione severa: le imprese più ‘meritevoli’ (investment grade) hanno registrato una riduzione della propria rischiosità e un miglioramento del proprio merito di credito nell’ordine del 15%. Per esse le difficoltà del contesto hanno rappresentato un’opportunità. Per contro, le medie imprese che sono entrate nella crisi già in relativo affanno hanno subìto un forte aumento della propria rischiosità, oltre il 70%. Per effetto di questi andamenti, la solvibilità delle medie imprese è caduta in 10 anni di oltre il 15%, un aspetto che può complicare il rapporto con il mondo bancario. La struttura finanziaria tuttavia resta complessivamente solida. I mezzi propri tangibili sono superiori all’attivo immobilizzato (109,6% il rapporto), le attività correnti nette garantiscono un’ampia copertura del debito finanziario a breve (151,4%), il margine operativo lordo è ampiamente sufficiente a ripagare gli oneri del debito finanziario (multiplo pari a 6,5 volte).  
Il miglioramento del clima congiunturale internazionale favorisce oggi la diffusione di sempre più evidenti segnali di ripresa per le medie imprese industriali, vera punta di diamante del made in Italy all’estero. Il 2014 si è chiuso, per la prima volta dal 2008, con una fascia di società dal fatturato in crescita che supera nettamente la quota di quelle ancora in difficoltà (45,2% contro 27%); in risalita anche la produzione, dove la differenza fra i due gruppi di imprese con andamento opposto raggiunge i 22,8 punti percentuali. All’insegna dell’ottimismo anche le previsioni per il 2015, con il 46,3% delle società che prevede un aumento del fatturato e il 42,6% un incremento della produzione.      
È possibile scaricare l’indagine completa nell’apposita sezione dei due siti dei Centri Studi (www.mbres.it;www.starnet.unioncamere.it).

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