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Web Tax, monta la polemica

Dopo che è stata varata la "tassa sul digitale" ovvero una flat tax del 6% sui ricavi derivanti dall’erogazione di servizi digitali arrivano i primi giudizi negativi di Unimpresa e di Netcomm, Consorzio del Commercio Elettronico Italiano.

Mercato
Dopo che è stato approvato l’emendamento alla legge di Bilancio che introduce in Italia, a partire dal 1° gennaio 2019, un’imposta sulle transazioni digitali, una sorta di flat tax del 6% da applicare alle prestazioni di servizi effettuate con mezzi elettronici, arrivano i primi giudizi negativi dal mondo imprenditoriale.
il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, sottolinea come questa iniziativa potrebbe nuocere alle Pmi italiane: "Attenzione ai pericoli di penalizzazione delle micro, piccole e medie imprese italiane con la web tax. Pur considerando opportuno un intervento sul versante della tassazione della nuova economia digitale, riteniamo doveroso sottolineare i rischi derivanti dall’introduzione di un meccanismo, quello previsto con l’emendamento ‘web tax’ inserito nel disegno di legge di bilancio, che può finire col tradursi in un autogol per l’economia del nostro Paese. L’introduzione di un prelievo aggiuntivo pari al 6% delle fee commerciali dei portali di vendita online finirà con l’essere traslato, sul piano fiscale, sul venditore italiano e, successivamente, anche sul consumatore italiano. Tutto ciò con inevitabili ripercussioni sui prezzi finali e pure sui fatturati delle nostre imprese. E’ dunque necessario, in questo ambito, un ragionamento sul piano internazionale volto a mettere d’accordo tutti i policy maker su scala globale”.
Gli fa eco Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, che esprime le proprie perplessità: "È senz’altro condivisibile e apprezzabile l’intenzione del legislatore italiano di assoggettare a prelievo fiscale quelle imprese non residenti in Italia che, pur generando utili nel nostro Paese, a oggi non scontano alcuna IVA o imposte sui redditi nel nostro Paese; tuttavia, il provvedimento non appare raggiungere tale obiettivo ma, anzi, rischia di produrre nuovi squilibri, con possibili ripercussioni negative per molte imprese nostrane".
Infatti l
’imposta "digitale" è calcolata sui ricavi derivanti dall’erogazione di servizi digitali (quali, per esempio, la vendita di spazi pubblicitari, servizi di cloud computing, ebook, ecc.) da parte di soggetti stabiliti in Italia o in altro Stato estero, a favore di altre società che hanno sede in Italia, fatta eccezione per le tre categorie menzionate dal paragrafo 9 (ovvero le imprese agricole, i contribuenti in regime dei minimi e i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario previsto dallart. 27, d.l. 98/2011) e le stabili organizzazioni di soggetti non residenti situate nel medesimo territorio.
"Seppur vero che il provvedimento non colpisce il consumatore finale, è altresì vero che comporterà diverse conseguenze negative per gli operatori digitali italiani. In primo luogo, considerando che la base imponibile della web tax sono i ricavi, e non il reddito, essa andrà a incidere significativamente sull’economia delle imprese italiane di nuova o recente costituzione, si pensi ad esempio alle start-up", continua Liscia.
"In secondo luogo, i provider di servizi digitali italiani subiranno di fatto un ulteriore inasprimento del prelievo fiscale complessivo già piuttosto gravoso in Italia; a tale riguardo si osserva che il meccanismo del credito d’imposta previsto per mitigare l’inasprimento del prelievo fiscale potrà essere d’aiuto solo in determinati casi poiché essendo utilizzabile solo in compensazione, esclude dal beneficio, nuovamente, tutte le realtà che faticano ad avviare o mantenere con un bilancio attivo della propria azienda e sappiamo tutti che, purtroppo, questa è una situazione comune nel nostro Paese".
L’auspicio di Netcomm è che il legislatore italiano rifletta sulle possibili conseguenze di tale iniziativa; sarebbe infatti auspicabile un ridimensionamento della portata applicativa della web tax escludendo le imprese italiane e le stabili organizzazioni di imprese estere in Italia dall’ambito di applicazione del tributo,essendo quest’ultime già soggette a imposizione sui redditi globali in Italia.  Inoltre, non da ultimo, l’iniziativa legislativa dovrebbe essere armonizzata con altre allo studio in alcuni Stati dell’Unione Europea; vi è infatti il concreto rischio per il nostro Paese di aumentare il divario di competitività rispetto agli altri Stati europei.
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