Autore: Marco Maria Lorusso - Tempo di lettura 9 minuti.
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Milano, un ristorante della tradizione e dell’eccellenza meneghina, un clima più da pranzo tra colleghi che da conferenza formale, ChannelCity ha chiamato a raccolta alcuni protagonisti del mondo dei gestionali per ragionare su che cosa significhi davvero portare l’AI dentro ERP e applicazioni d’impresa.
Attorno al tavolo: Paolo Aversa, Managing Director di Ally Consulting, Mauro Maniforti, Chief Experience Officer di Eos Solutions, Stefano Santafe Project & Service Manager presso gway (società del R1 Group), Federico Sangalli, Partner Development Manager di Factorial e Marco Prosperi Key Account Marketing Manager di Lan Service Group. L’obiettivo dichiarato: abbassare la “guardia” e provare a raccontare senza slogan come l’intelligenza artificiale stia cambiando il software gestionale, il lavoro quotidiano delle persone e il ruolo di chi integra, sviluppa e vende queste soluzioni. Soluzioni da cui oggi dipende buona parte dei destini del business e della salute generale di migliaia di imprese.
Il risultato è il report multimediale che segue, un confronto aperto, diretto, prezioso per capire, davvero, il “momento” di un settore chiave per il mercato ICT.
Il primo a rompere il ghiaccio è Paolo Aversa di Ally Consulting, che porta subito la discussione su un terreno molto concreto: quello delle PMI manifatturiere, dove spesso il tema non è tanto l’AI, ma ancora l’adozione stessa dell’ERP.
Quando gli viene chiesto cosa abbiano davvero capito le aziende delle nuove funzionalità AI nei gestionali, Paolo è brutale nella sua sincerità: «Al momento c’è ancora molto, moltissimo da fare e la conoscenza degli strumenti è davvero bassa ». Il punto, spiega, è che in tantissime realtà c’è ancora da “digerire” il gestionale di base, figuriamoci introdurre algoritmi di intelligenza artificiale.
Aversa sottolinea che per anni i system integrator hanno assecondato la richiesta di sviluppare, sviluppare, sviluppare, fino a trasformarsi in software house su misura. Ora il pendolo è tornato indietro: «Siamo ritornati al concetto di system integrator perché progetti di quel tipo non ha più senso che vengano fatti».
La sua visione dell’AI nei gestionali è molto chiara e disincantata: «L’AI potenzia il sistema gestionale? Sì. Il sistema gestionale potenzia un’azienda? Sì. L’AI quindi potenzia pure l’azienda. Certo. Ma l’AI non risolve tutti i problemi, non licenzia le persone, non ne assume degli altri, non si sostituisce se dietro non c’è l’intervento dell’essere umano».
Per lui il vero nodo rimane culturale, ma non nel senso di “ignoranza digitale” delle persone: il gap è nella comprensione del ruolo dei processi e dei dati. Che si tratti di ERP evoluti o di algoritmi predittivi per le previsioni di vendita, il lavoro vero rimane quello di sedersi con i process owner – «il direttore commerciale, non il venditore finale» – e costruire insieme modelli e aspettative realistiche: «Queste si chiamano previsioni, altrimenti sarebbero certezze».
Sulla stessa linea, ma con una lente più tecnica e organizzativa, interviene Mauro Maniforti di Eos Solutions. La sua preoccupazione principale è la corsa un po’ “scomposta” verso l’AI generativa, spesso fatta con strumenti gratuti, usati in azienda come se fossero innocue app personali.
Per Mauro, ogni progetto AI serio dovrebbe partire da una doppia domanda: quali dati ho e quanto sono sicuri? «Di solito quello che si dice è: tu vuoi fare un progetto di AI, la prima cosa che devi fare è guardare i tuoi dati. E una volta che hai guardato i dati, devi tornare indietro a guardare la sicurezza dei tuoi dati. Quindi un progetto di AI parte dalla sicurezza».
È un messaggio controintuitivo per molti clienti, che tendono a vedere l’AI solo come tecnologia “magica” da applicare a valle. Per colmare questo gap Eos ha strutturato un percorso di formazione compatto, che Maniforti definisce una “masterclass” di base: quattro ore per spiegare cos’è davvero l’AI, cosa esiste da decenni (predittivo, machine learning) e cosa è nuovo (generativa, agenti), quali risultati ci si può attendere e quali rischi si corrono, a partire da prompt e utilizzo quotidiano degli strumenti.
La discussione si sposta poi su Copilot per M365, che Eos aveva presentato ai clienti quando costava “30 dollari al mese” e sembrava una cifra eccessiva. Oggi Mauro ammette ridendo: «Riguardando indietro, a un anno di distanza, io gli darei 500 al mese per il valore che porta nel mio lavoro». L’AI, usata bene, è diventata «come avere un collega in più», soprattutto nelle attività di prevendita, sulle trascrizioni delle call, sull’analisi dei documenti: meno interviste, più accuratezza, tempi più brevi verso il risultato.
Ma anche qui arriva l’avvertimento: non si può delegare tutto alla macchina. L’output va sempre interpretato e inserito in un processo di lavoro consapevole. Il vero scollamento che Eos vede sul campo è tra una disponibilità enorme di tecnologie e la limitata comprensione, da parte delle aziende, di come tradurle in casi d’uso reali e in valore.
Federico Sangalli di Factorial porta in tavola un’immagine semplice ma potentissima: «L’AI aiuta le macchine a fare lavoro da macchine e le persone a fare lavoro da persone». Una frase che racconta bene lo spirito con cui ha affrontato il tema, prima in ambito robotico e oggi nel mondo HR tech.
Sangalli ricorda l’esperienza nel mondo della robotica industriale, dove l’automazione è un trend di lunghissimo periodo: «Se non avessimo mai automatizzato attività a basso valore aggiunto staremmo ancora coltivando il nostro cibo per avere la cena». L’automazione ha spostato le persone dalla fabbrica ai servizi, ma molte mansioni da “white collar” sono ancora piene di attività ripetitive, come inserire codici in un gestionale otto ore al giorno.
Qui entra in gioco l’AI, soprattutto quando viene integrata dentro le piattaforme di gestione del personale come Factorial. L’obiettivo è liberare chi lavora da compiti di puro “copia e incolla” e farlo concentrare su decisioni, relazioni, creatività: «In Factorial diciamo sempre che l’AI rende il tuo lavoro più umano».
Non si tratta, precisa, di guardare l’AI solo sulle settimane o sui mesi della “hype” attuale, ma come un pezzo di un macro-trend di automazione, che continua a spostare il confine tra ciò che fanno le macchine e ciò che resta autenticamente umano.
Stefano Santafe di gway parte da un’altra parola chiave: automazione. Il suo percorso professionale è iniziato nell’RPA, la Robotic Process Automation, dove l’obiettivo era proprio quello di creare algoritmi che sostituissero al 100% attività ripetitive e alienanti: leggere email e fare data entry, manipolare file, fare operazioni uguali per ore.
Oggi, racconta, quella logica si è evoluta dentro un ecosistema in cui l’AI è la nuova “benzina” dei processi automatizzati. Strumenti moderni permettono di unire workflow e intelligenza artificiale, generando automazioni che si creano e migliorano quasi da sole.
Per Stefano il punto non è togliere lavoro alle persone, ma togliere loro i pezzi di lavoro sbagliati: «Non è concepibile che un essere umano è al lavoro otto ore e deve poi ritrovarsi a fare degli straordinari per lavori che possono essere fatti da processi». La parola che usa è “snellire”: togliere attrito, eliminare i passaggi inutili, lasciare alle persone le attività a maggior valore.
Porta anche un caso concreto legato ai gestionali: l’addestramento di un modello sulle procedure e i manuali di un cliente. In scenari di job rotation o onboarding, chi arriva in un nuovo ruolo può interrogare un assistente interno che “sa” quali sono le procedure corrette, richiama il paragrafo giusto, ricapitola quello che è già stato fatto e suggerisce le attività successive, fino alla generazione del report di chiusura. È un modo molto pratico per trasformare documentazione statica in supporto vivo al lavoro quotidiano.
La voce di Marco Prosperi (Lan Service Group) porta al tavolo la prospettiva del system integrator “di prossimità”, quello che vive a stretto contatto con le imprese del territorio e che conosce sia l’anima infrastrutturale sia quella applicativa dei progetti.
Marco si definisce quasi un “anello di congiunzione” culturale tra hardware e software, forte di una storia professionale che parte dagli anni Novanta, dalla programmazione a oggetti e dai primi siti internet venduti come nuovi strumenti di marketing. Oggi, con in mezzo l’evoluzione del cloud e del multicloud, il tema si ripropone in chiave AI: dove stanno i dati, chi li governa, in quali ambienti girano le applicazioni intelligenti, come si fa a tenere insieme tutto.
Lan Service, in questo, lavora su due fronti. Da un lato aiuta le aziende a gestire la “spinta inevitabile” verso applicazioni AI e ambienti sempre più articolati, spesso multi-cloud, mantenendo però un controllo totale sui dati, anche in termini di territorialità e governance, come chiedono sempre più spesso le imprese italiane. Dall’altro, affianca i clienti nell’integrazione delle piattaforme di produttività – in primis Microsoft – dentro i processi reali, ricordando che prima ancora delle nuove funzioni AI esistono già oggi feature avanzate di automazione e gestione dei dati spesso sottoutilizzate.
La sensazione è che, anche qui, il vero lavoro sia cucire insieme infrastruttura, applicazioni e persone, più che installare “un’AI” a scaffale
Alla fine del confronto, quello che resta non è l’immagine di un’AI magica che rimpiazza il gestionale, ma quella di un insieme di strumenti che amplificano la potenza del software d’impresa, a patto di lavorare su cultura, dati, sicurezza e processi.
Tutti i partecipanti, pur con storie diverse, convergono su alcuni punti fermi: l’AI non è una bacchetta magica, ma un acceleratore; non esiste progetto AI serio senza un lavoro a monte sui dati e sulla loro protezione; l’obiettivo non è eliminare persone, ma liberar loro tempo e testa; e il ruolo di system integrator, sviluppatori e vendor è sempre più quello di “traduttori” tra tecnologia e realtà delle imprese.
È da qui, dal racconto di casi reali e dalle sperimentazioni guidate, che passa la prossima fase: non tanto parlare di AI, ma farla lavorare dentro gestionali, ERP e applicazioni in modo che, davvero, le macchine facciano bene il lavoro da macchine e le persone possano finalmente tornare a fare il lavoro da persone.