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Le strategie degli hyperscaler agevoleranno i cloud provider locali

Amazon AWS, Google Cloud, Microsoft Azure dovranno mettere mano al portafoglio per mantenere la leadership, anche sviluppando la loro rete di data center locali: sarà un’opportunità per i partner nazionali?

Mercato
Gli hyperscaler raddoppieranno i loro investimenti entro cinque anni, lo sostiene un recente rapporto di Dell’Oro Group. L’incremento di spesa porterebbe il capex dei data center nel mondo a toccare i 350 miliardi di dollari entro il 2026. Si tratta di investimenti obbligati per Amazon Aws, Google Cloud, Microsoft Azure, IBM e Oracle, necessari per mantenere la leadership.
Dare un’occhiata più attenta alle previsioni di investimento, ci fa comprendere dove sta andando il mercato dei cloud service provider e cosa ci dobbiamo aspettare. Dell’Oro prevede le spese maggiori in architettura hardware: nei server di nuova generazione - con una strizzatina d’occhio al quantum computing - e in infrastrutture locali. Ma si investirà anche nello sviluppo di soluzioni avanzate di intelligenza artificiale, necessarie per supportare l’incremento della richiesta di ambienti metaverse.
Ci si aspetta, inoltre, un ampliamento dei servizi a disposizione secondo una logica di Industry, ovvero pacchetti applicativi ideati per particolari mercati verticali. Questo perché, in termini di prestazioni, di affidabilità, di gestione dei dati e di compliance, il comparto Finance ha delle esigenze ben diverse, per esempio, del Retail. Inoltre, c’è da immaginare un’accelerata nella revisione del modello di business degli hyperscaler che provochi un cambio della percezione del mercato. Le aziende oggi, infatti, non chiedono cloud pubblici ma ambienti ibridi o multicloud.

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I big del cloud pubblico costano troppo

Investimenti obbligati, dicevamo, per mantenere il tasso di crescita previsto – negli ultimi 5 anni +26% di fatturato per i big four -, ma che potrebbero ricadere (ancora) sul costo dei servizi cloud delle aziende clienti. E, allora, attenzione, un sondaggio di Civo smentisce una serie di luoghi comuni sui cloud service provider e dovrebbe, da una parte, far suonare il campanello d’allarme agli hyperscaler, dall’altra potrebbe dimostrarsi un’opportunità per i fornitori cloud locali. L’82% dei responsabili aziendali intervistati, infatti, chiede ai big di ridurre le fee e ormai non abbocca più alla narrativa che i cloud pubblici globali sono più economici. Questo perché, dopo un inizio entusiasmante, il 74% degli intervistati in un anno ha visto lievitare i costi in media del 66% a causa dell’adeguamento ai nuovi carichi di lavoro e della necessità di ampliare il numero e il tipo di licenze: è questo il prezzo (spesso nascosto) della scalabilità. Ma, nonostante ciò, i cloud provider più piccoli sono ancora visti come poco sicuri.


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Gli investimenti nei data center locali

Ma è l’investimento in data center locali che potrebbe influire positivamente nell’economia dei singoli Paesi, con buone ripercussioni per tutti i “piccoli” data center e per i partner di canale che sapranno farsi trovare già pronti con un’offerta di managed services e che possono contare su infrastrutture proprie. Sono due le motivazioni principali che porteranno gli hypervisor a investire localmente. In primo luogo, lo sviluppo di servizi cloud nell’edge. Amazon AWS, per esempio, ha annunciato recentemente lo sviluppo di altre 32 Local Zones Edge in 26 Paesi. Una strategia necessaria per venire incontro alle aziende che chiedono di ottimizzare le applicazioni a bassa latenza soprattutto in ambiti particolari, come il Manufacturing, il Broadcasting e il Gaming. Per ora, secondo i dati forniti nei report di bilancio, Amazon AWS ha optato per un bilanciamento tra aree acquistate (poco più di un milione di metri quadri) e affittate (circa 1 milione e 300mila metri quadri). A questo proposito, sono già noti i piani di sviluppo in Sicilia del colosso americano che, entro il 2023 potrà sfruttare ben tre infrastrutture a Castelvetrano, Mazara del Vallo e Paternò, alimentate dall’energia degli impianti fotovoltaici realizzati dalla francese Engie. Ma è possibile che la componente in affitto possa crescere nel breve termine, soprattutto nelle aree metropolitane in cui i costi d’acquisto dei terreni sono più elevati e gli spazi più ristretti. Mentre l’acquisto rimarrebbe un’opzione in aree economicamente più abbordabili, come il Vietnam, abbastanza deficitarie in termini di infrastrutture IT e di rete, ma con un economia digitale in forte crescita. C’è poi la questione della data sovereignty, la sovranità dei dati imposta dalle direttive europee, che in qualche modo “obbliga” gli hyperscaler a dotarsi di infrastrutture, proprie o in affitto, geolocalizzate nella Comunità Europea. Impedire la fuga oltreoceano i dati di aziende e cittadini europei è un diktat imposto dall’Europa, e gli hyperscaler si stanno già adeguando con la creazione delle loro Region o con astute iniziative di partnership all’interno del progetto Gaia-X. Infine, anche la ricerca della sostenibilità ambientale per i data center rappresenta un’opportunità. La promessa fatta agli investitori e ai clienti di ridurre l’impatto ambientale e sociale delle infrastrutture, ricorrendo a energia pulita e sistemi di riciclo dell’acqua di raffreddamento, sta lentamente ampliando il raggio di investimento. Così, la realizzazione di un data center in Sicilia avrà le stesse probabilità di compiersi di un equivalente in Alaska.
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