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La crisi dei fondi di comarketing

I vendor non sono contenti dei risultati e chiudono i rubinetti, i partner non ci credono e non sono abbastanza skillati: all’origine delle criticità dei MDF.

Programmi di canale

Lo State of Partner Marketing 2025 di The Channel Marketing Company è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di rapporti periodici sui Market Development Funds (MDF), i fondi di comarketing che i vendor mettono a disposizione del proprio canale.

Argomento da sempre leggermente scomodo, quello dei fondi di comarketing, di cui si parla poco e si borbotta molto. I fondi sono diminuiti negli ultimi anni? Sono cambiati i criteri di erogazione? È più difficile per i partner di canale accedervi e utilizzarli? Gli stessi spendono male i soldi, quando li spendono? La burocrazia è aumentata? Si privilegiano determinate tipologie di partner? Le piattaforme per la gestione delle attività funzionano? La sensazione è che la risposta sia SI a tutte le domande.

Invece, le risposte sono spesso vaghe, da parte di entrambi gli interlocutori per evidenti motivi diplomatici. Per capirci qualcosa partiamo dai dati indipendenti. Dalla Gartner CMO Spend Survey 2025 si evince che i budget a disposizione dei CMO aziendali da due anni cubano per il 7,7% del totale del fatturato. Un calo di 1,6 punti percentuali rispetto al 2023 e, soprattutto, del 3,5% rispetto ai fasti del 2018.

A chi appartiene il budget?

Ma, attenzione, già da qui si entra in un ambito (volutamente?) nebuloso. Non è assolutamente scontato che i MDF siano una percentuale del budget destinato ai CMO del vendor, anzi. È, inoltre, da distinguere la voce MDF da CO-OP, notoriamente il programma che prevede l’accantonamento successivo di fondi calcolati in percentuale rispetto al fatturato generato con un partner. I fondi CO-OP potrebbero non essere utilizzati necessariamente per attività di marketing ma, per esempio, per la formazione e la certificazione.

Inoltre, è impossibile riuscire ad avere un valore percentuale preciso degli MDF rispetto a totale del budget destinato alle attività di canale di un vendor, che, come sopra, non è tutto speso in marketing. La variabilità dipende dal mercato, dalle regioni geografiche, dalla struttura di canale, dal tipo di vendor, ma si può immaginare una percentuale compresa tra il 2 e il 6%. Che suona comunque troppo ridotta.

Insomma, è totalmente arbitrario collocare gli MDF tra le voci di spesa ma, in ogni caso, quei fondi hanno ancora senso di esistere, perché continuano a essere strategici in un comparto che, oggi più che mai, genera business attraverso il canale. In un sondaggio di Foundry del 2024 si sottolineava proprio l’importanza del partner marketing nel comparto hi-tech.

Eppur ci credono

Secondo il 2024 State of Partner Marketing Study di Foundry, il 68% del campione ritiene che sia una tattica necessaria che offre ancora un grande valore. Un dato in leggero aumento rispetto al 64% del 2022 e al 62% del 2019. Sempre secondo Foundry, in media il 37% del totale del budget di marketing del 2023 è stato speso per attività di marketing dei partner e il 62% degli intervistati prevedeva che questa cifra sarebbe aumentata nel 2025.

Preso atto dell’intenzione del mercato di mantenere ben vivi gli MDF, c’è però da considerare l’altra faccia della medaglia. Il 71% degli interpellati da Foundry sostiene che “utilizzare bene” i fondi entro i tempi previsti sia una grandissima sfida. E c’è da definire “utilizzare bene”. L’obiettivo ultimo per ogni erogazione di fondi è uno solo: sviluppare business per il vendor (e il canale) attraverso i partner. Gli step intermedi (i KPI) comprendono la brand awareness - la crescita di notorietà del vendor e della sua offerta presso gli utenti finali – e la lead generation – la raccolta di nuovi contatti (che poi devono essere ingaggiati). Un percorso complesso che passa necessariamente attraverso un intermediario e in cui, al contrario del mercato B2C la vendita (indiretta) del prodotto o del servizio non è un’immediata conseguenza.

Digital marketing, questo sconosciuto

Le tecniche utilizzate per gli obiettivi preposti prevedono un mix di attività offline, tipicamente gli eventi, e soprattutto online. È il digital marketing B2B che si compone di diversi strumenti. Ed è in questo contesto in cui si presentano le prime criticità.

Tutti gli analisti sono concordi nel considerare la mancanza di competenze del canale nel digital marketing uno dei motivi per cui i MDF non vengono sfruttati adeguatamente e non si raggiungono gli obiettivi voluti. La maggioranza dei partner di canale, indipendentemente dalla loro ampiezza, non ha un team marketing strutturato e, per questo, nel migliore dei casi si affida ad agenzie specializzate spesso indicate dal vendor stesso.

Il discorso vale a maggior ragione se si parla di marketing digitale. Oggi non ci si può accontentare dell’invio di una Dem al proprio database clienti realizzata in fretta e furia. Una corretta strategia di digital marketing prevede costanza e presenza in ogni touch point digitale. E ciò significa un effort considerevole da parte del partner, sempre ammesso che sappia di cosa si sta parlando.

La mancanza di devozione

Le altre motivazioni che emergono dai sondaggi degli analisti riguardano la legittima “mancanza di devozione” da parte di un partner che non è mai monomandatario, il che provoca un interesse limitato a investire risorse nel task. E poi c'è l’atavica fretta del partner a concludere i deal il più presto possibile concentrandosi su iniziative a breve termine. Ma questa visione cozza inesorabilmente con la realtà dei fatti che vuole che i tempi di chiusura di un contratto e di un progetto oggi siano molto più lunghi.

Ma non è solo responsabilità del canale se i MDF non vengono sfruttati adeguatamente e non portano i risultati voluti. Dall’altra parte i vendor sono accusati di iniziative universali poco attinenti alla realtà locale, focus esagerato su tecnologie troppo anticipatorie per alcuni mercati, tool non standard e troppo complessi, troppa burocrazia e mancanza di supporto.

In definitiva, il concorso di colpa sembra evidente. Se, da una parte, un vendor non può pretendere che il partner si adegui ai suoi processi, ovvero alla sua piattaforma e a quella di un’altra decina di vendor, dall’altra il partner deve entrare nell’ottica che i tempi dei fondi a palate e senza giustificativi sono finiti: oggi il mantra è “raggiungere i KPI” e farlo attraverso risultati oggettivi, misurabili e non ambigui.

Allo stesso modo, il vendor deve uscire da una logica “one size fits all” e da processi troppo automatizzati, vincolati e burocratici. Deve adeguarsi alle dinamiche dei mercati locali, mentre il partner deve comprendere che fare marketing, e soprattutto digital marketing, è affare complesso impossibile da far gestire da un account commerciale con la mano sinistra e nei ritagli di tempo.

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